Piedone il Finnicodi Fabrizio Polacco (Aprile 1998) |
Quando vivevo in Italia, ogni volta che andavo a comprarmi le scarpe, finivo per litigare col negoziante. Ora vivo in Finlandia, e il mio 47 non è più un problema, ma in Italia, ogni volta che chiedevo una scarpa del 47, il negoziante esordiva dando la colpa alle fabbriche che producono solo fino al 45, poi diceva che sì, ne arrivava qualcuna ogni tanto, ma veniva venduta subito, contraddicendosi dopo poco dicendo che non poteva ordinarne tante perché se no gli restavano in negozio, ed infine ammetteva che non le ordinava perché vendere una scarpa 47 costava a lui più tempo e fatica che a vendere una scarpa del 39, e finiva inevitabilmente con l'affermare che non potevo andargli ad insegnare il mestiere e che lui faceva quello che faceva per guadagnare soldi, non certo per fare un favore a me.
Il motivo per cui quel signore vendeva scarpe non era quello di far camminare la gente, offrire protezione ai loro piedi, fornire un servizio alla società. Il motivo era solo ed esclusivamente guadagnare soldi. Quello che dovrebbe essere solo un effetto del lavoro svolto diventa lo "scopo" del lavoro stesso.
Non voglio star qui a discernere sulla moralità di una cultura che pone il denaro, ed in particolare l'arricchimento, come obiettivo primario di tutto, ma solo sulle sue conseguenze in generale ed in particolare nel campo in cui svolgo la mia attività professionale: l'informatica, ovvero il trattamento delle informazioni tramite gli elaboratori di dati.
Io penso infatti che questo particolare atteggiamento porti a vedere la vita attraverso un filtro colorato che travisa e spinge a travisare. Ecco allora che siamo portati a considerare bravo il commerciante che riesce a vendere freezer agli Inuit (un tempo chiamati esquimesi), senza curarsi che così facendo li priva del denaro necessario per procurarsi cose utili dando loro in cambio una cosa inutile. Ecco che siamo spinti ad applaudire il dirigente di successo che porta la sua società ai vertici della finanza mondiale, non importa se per ottenere questo successo egli abbia ingannato i suoi clienti, depredato i suoi concorrenti, impoverito l'intera società riempiendo il mercato di oggetti non all'altezza della tecnologia corrente.
Quando entrate in un negozio di computer e vi sentite incensare le virtù indomabili dell'ultimo costosissimo modello, quando vi sentite dire che, naturalmente, il computer è già preinstallato con l'ultima versione del migliore ed unico programma, domandatevi se per caso non vi stiano rifilando una scarpa troppo piccola o una troppo grossa, fatevi sfiorare dal dubbio che la competenza tecnologica di un commerciante dedito solo ed esclusivamente al far soldi possa essere sviata se non contraffatta.
Eh, sì, perché nella realtà, la tanto glorificata meraviglia tecnologica di certi prodotti di successo altro non è che pura apparenza artatamente spacciata per tecnologia, un puro trucchetto commerciale, e neppure dei più sofisticati, per portarvi a credere di essere beneficiati da tanta competenza. Persino dovreste ringraziare per aver portato sulla vostra scrivania (o quale meraviglia) un computer che, per soli dieci milioni, se ne sta bello bello fermo in attesa che la stampante finisca di stampare (non stupitevi: tutti gli altri computer dotati di un programma diverso da quello che vi hanno rifilato sono in grado di lavorare anche mentre la stampante stampa, e lo sanno fare da più di venti anni!). Mi spiace, ma siete stati truffati.
O come quando contorte campagne di stampa vi portano a credere che possano davvero esistere dei virus in grado di aggredire e rovinare il vostro computer.
I virus altro non sono che semplici, a volte banali, programmini che, sfruttando errori e malfunzionamenti del programma che usate sul vostro computer, lo spingono ad eseguire operazioni più o meno dannose, certo da voi non desiderate. Siete stati truffati perché invece di correggere gli errori, i geniali monopolisti dell'informatica mondiale hanno inondato il mercato di costosi rimedi palliativi contro i virus, che in realtà li eliminanano solo dopo che siete stati colpiti, e nulla fanno per impedirgli di colpirvi. Nove anni fa, un programma malizioso, che venne a posteriori chiamato il verme di Internet, riuscì a bloccare, per alcune ore, gran parte dei computer che allora erano connessi in rete. Gli esperti studiarono il problema e cercarono di individuare quali modifiche occorreva apportare ai loro programmi per impedire che il problema si ripetesse. Ed infatti il problema non si è più ripetuto, e quegli stessi esperti vegliano in continuazione per individuare possibili punti di attacco e modificare i loro sistemi prima che qualcuno possa effettivamente perpetrare un attacco. Ma questa non è stata la strada seguita dal genio del commercio informatico, che è magistralmente riuscito a creare un mercato miliardario basato sugli antivirus. Alcuni maliziosi sono persino giunti a pensare che, dopo la scomparsa dei cattivi dell'Est, a suo tempo indicati come untori informatici, gli unici che traessero guadagno dall'esistenza dei virus fossero solo i venditori di antivirus, arrivando addirittura a sospettare (ma che sfrontati!) che i produttori degli uni e degli altri... coincidessero.
Mi spiace, ma siete stati truffati. Siete stati indotti a credere che le numerosi limitazioni del massimo e migliore programma fossero limiti della tecnologia, e, per contro, che qualunque miglioramento, per quanto tardivamente introdotto, sia una mirabile invenzione del nostro industriale/commerciante cui deve andare tutta la nostra ammirazione ed il nostro ringraziamento. Siete stati truffati. Amen.
E cosa pensare quando anche i comportamenti infidi e colpevoli del nostro industriale/commerciante vengono ripresi ed annunciati al mondo come meritevoli da chi invece dovrebbe, per cultura e per esperienza, essere in grado di notare il vero significato di certe operazioni?
Alludo al modo agiografico con cui certa stampa ha dipinto come dono generosamente disinteressato il finanziamento elargito ad una azienda in difficoltà da parte del colosso mondiale suo concorrente, senza riflettere che la sparizione dell'ultimo concorrente al mondo rappresenterebbe per il monopolista la sparizione dell'ultimo ostacolo alla calata della mannaia dell'antitrust che, giustamente, punirebbe con durezza estrema la conquista del monopolio mondiale da parte di una singola azienda.
Non è fantapolitica: è infatti già successo alla fine degli anni settanta quando il giudice antitrust americano ha polverizzato il colosso mondiale delle telecomunicazioni, l'AT&T, costringendola a dividersi in tante piccole aziende in competizione tra loro. Cosa che, nonostante il conseguente aumento di occupati e di fatturato totale, non ha minimamente fatto felici gli azionisti.
Ricordo come in quegli stessi anni Giorgio Gaber cantasse nei teatri una canzone in cui un verso diceva più o meno: "non ho mai visto nessuno buttare lì qualcosa e andare via", intendendo alludere che nessuno ha mai dato il suo contributo senza pretendere qualcosa in cambio. E questo è a maggior regione ancora più vero nel caso del dono citato prima.
Ma non me la sento di dire che davvero non ci sia nessuno capace di dare il suo contributo senza dover necessariamente pretendere qualcosa in cambio. Non me la sento perché questa persona esiste ed anzi non è sola, ma circondata da una folla invisibile di imitatori, di cui io cerco di far parte.
A questo proposito, lasciate che vi racconti questa strana storia: sei anni fa, nel 1991, un giovanissimo studente finlandese di ingegneria, non potendosi permettere di comprare un costoso computer, ma solo un normale PC, voleva dimostrare, a sé stesso per primo, di essere lui, al pari di chiunque altro, in grado di creare il massimo programma: il programma base che fa funzionare il computer, capacità che viene tuttora riconosciuta solo al più grande programmatore, il padrone ed inventore dell'impero mondiale dell'informatica.
Presuntuosetto, non vi pare?
Non penso ne avesse le forze, ma, per uno strano gioco del destino, ne ebbe l'occasione e l'opportunità: chiese, rivolgendosi alla platea di tutti i programmatori esistenti al mondo, da poco interconnessi nella neonata rete mondiale Internet, se c'era qualcuno disposto ad aiutarlo, così, senza compenso, solo per divertimento: solo per una sfida contro sé stessi.
Non era stato neppure sfiorato dall'idea che qualcuno potesse accogliere la sua offerta/richiesta. Non si era reso conto di parlare ad una folla di tecnici frustrati dal continuo compromesso quotidiano in cui le loro capacità tecniche devono quotidianamente soccombere alle esigenze truffaldine del commercio. Non capiva che stava titillando l'ego profondo di chi si sente in grado di dare molto ed è costretto a castrarsi per non compromettere il mercato. Ed aveva certamente sottovalutato il numero di persone che potessero realmente leggere il suo annuncio.
Piano piano, pochi per volta, dieci, venti tecnici superspecializzati e mal utilizzati accolsero la sua sfida perché permetteva loro di dimostrare a sé stessi, ma anche ai loro amici/colleghi e, perché no, al mondo intero, il loro vero valore. E poi altri dieci, altri venti, una valanga. Questo ragazzino biondo, timido e minuto, vide giungere sul suo computerino da quattro soldi, nella sua stanzetta al centro di Helsinki, una valanga di offerte disinteressate di aiuto. Cento, duecento, fino a perderne il conto.
Il giovane dedicò tutto il suo tempo a coordinare questo immenso stuolo di tecnici desiderosi di dare a lui, che nulla offriva loro in cambio, quelle capacità ed esperienza che i loro datori di lavoro sdegnosamente sottovalutavano se non addirittura rifiutavano. Altro lavoro si organizzò da solo. I contributi arrivavano da ogni dove ad un ritmo tale che era persino difficile tenerne il conto.
Ed il miracolo prese forma e la forma era quella di un sistema operativo, il programma senza il quale il computer resterebbe inutile quanto un televisore spento. Pronto e funzionante in soli sei mesi: qualcosa che nessun professorone esperto di ingegneria del software avrebbe mai potuto considerare possibile.
Ma la macchina, messa in moto, non si fermò affatto lì: i contributi continuarono copiosi, e nuove forze continuarono ad aggiungersi rimpiazzando quelli che smettevano; mese dopo mese, anno dopo anno, in un turbinìo che giungeva a presentare una nuova versione ogni settimana, l'intero sistema ha progredito, si è evoluto fino a diventare oggi il programma usato da circa otto milioni di computer, secondo solo all'imperatore del computer, al dominatore del desktop.
"Che Bravo" direte voi, "chissà quanti soldi ha guadagnato!" "Niente" è la risposta. Eh, sì, perché, vedete, la condizione per ottenere tutto quel disinteressato aiuto era che nessuno ne avrebbe approfittato, nessuno se ne sarebbe impossessato, e che il tutto costruito con l'aiuto di tutti sarebbe per sempre rimasto proprietà di tutti, nessuno escluso, indipendentemente dalla quantità di lavoro prestato, persino indipendentemente dal fatto di avere o meno contribuito. Sì, avete capito bene: anche se i nomi degli autori rimangono indelebilmente scolpiti, la proprietà commerciale della cosa è concessa a tutti, persino a voi che ne sentite parlare ora per la prima volta.
E così, rinunciando al successo commerciale, rinunciando per sempre a perseguire quello scopo di ricchezza, ma proprio per avervi rinunciato, è riuscito a coaugulare intorno a sé la forza e le disinteressate capacità dei suoi colleghi di tutto il mondo.
Linus Benedict Torvalds è il suo nome, e Linux è il nome che altri hanno voluto per la sua creazione. A cosa serve? Serve a far funzionare il vostro computer senza far arricchire nessuno, e senza richiedervi di dissanguarvi comprando l'ultimo modello, perché è stato progettato in modo da far funzionare bene anche i vecchi computer di qualche anno fa.
Quanto costa? Nulla, di per sé. Potete copiarlo prelevandolo da Internet, ed allora pagherete solo il costo del tempo che resterete connessi (molto, considerando le esose tariffe telecom), oppure potete comprare uno o più CD-ROM, ed allora pagherete il costo dei dischi, tra le venti e le cinquantamila lire. Ma il bello è che, avendone voi i diritti legali al pari di chiunque altro, potete copiarlo da un amico invece di comprarlo, potete farvi prestare i CD e usarli per installarlo su tutti i computer che volete, potete persino duplicarlo in mille copie e venderle, senza dover pagare diritti e licenze ad alcuno, senza tasse o balzelli medioevali.
Certo, adesso però non ne facciamo un santo; altri prima di lui avevano teorizzato e spiegato perché le restrizioni imposte dal commercio del software fossero solo una protezione anticompetitiva, tesa a migliorare le rendite aziendali, senza proteggere per nulla la creatività degli autori che il software lo creano. Altri prima di lui avevano concretamente mostrato che era possibile creare del software liberamente utilizzabile da tutti, senza restrizioni, e proprio il prodotto di questi tentativi ha formato le basi su cui Linus e i suoi collaboratori hanno potuto costruire.
Muoveva allora i primi passi la rete Internet, quel grande crogiuolo mondiale che è ora alla ribalta delle cronache, terreno di conquista da parte di orde di cultori dell'effimero e dell'apparente senza contenuti. La grande fortuna di Linus è stata quella di essere presente in quel momento, di porre la sua richiesta sul veicolo preferito dalla grande maggioranza dei tecnici informatici di tutto il mondo che, proprio perché presenti, hanno risposto in massa dando inizio ad una valanga che oramai è davvero impossibile fermare.
Però Linus qualcosa di suo ce l'ha messo, qualcosa di importante, quel pizzico di lievito senza il quale la cosa non avrebbe iniziato la sua vorticosa crescita: la decisione di adottare una licenza d'uso del programma che vietasse di imporre restrizioni di alcun genere alla utilizzabilità e ulteriore diffusione del prodotto (e che a me personalmente appare come il vietato vietare del Maggio '68, finalmente divenuto realtà). Come pure la scelta di tipo manageriale, ma innovativa nella sostanza, di consentire ai suoi collaboratori piena ed assoluta libertà d'azione, pur mantenendo lui il controllo del flusso dei contributi e del confezionamento finale del prodotto.
Una scelta che avrebbe certamente fatto inorridire i suoi insegnanti che diffondono dalle loro cattedre il credo della logica delle aziende commerciali e della loro organizzazione gerarchica. Se non ora, certo in futuro, costoro si troveranno a dover insegnare anche questo nuovo modo di organizzare la produzione del software, forse non inventato, ma certo messo a dimostrazione pratica dall'allievo che, come sempre in questi casi, ha superato i maestri prima ancora che questi se ne rendessero conto.
Bene, ora sapete che il mondo non sta precipitando verso un abisso dove tutto è mercificato e l'unica qualità che conti sta nel colore dei soldi, ma sapete che esiste ancora un esercito di individui che possono reagire al grigiore ed all'appiattimento della vita lavorativa ponendo tutte le loro migliori qualità e capacità, non tanto nascoste, ma certo sottostimate e mal sfruttate, al servizio della collettività. Ora sapete che anche in questo mondo, che appare freddo di soli numeri e gelido per il presunto rapporto innaturale tra uomini e macchine, anche in questo mondo che credevate così distante ed inanimato è cresciuto il fiore luminoso della collaborazione spontanea e disinteressata, ha posto radici l'albero dello scopo collettivo teso al bene comune, senza distinzione di sesso, religione, lingua o... numero di scarpa.